Pur non ignorando gli aspetti di ordine legislativo che rendono non plausibile il blocco della riforma (l'approvazione delle norme quadro risale al Dicembre 1999, seguita nel 2000 dai decreti sulle classi delle lauree, già pubblicati da mesi in Gazzetta Ufficiale) ci preme sottolineare le ragioni di natura più sostanziale che sconsigliano interventi in tal senso.
La necessità di un cambiamento nel sistema dell'istruzione superiore nel nostro paese, rimasto immutato a fronte di una trasformazione di fatto, da università di élite ad università di massa, è stata largamente riconosciuta, ed è stata oggetto di periodiche recriminazioni.
In risposta a questo storico ritardo è partita infine una riforma che per la prima volta in molti anni si è basata su un progetto organico. La lunga fase preparatoria ha visto una larga consultazione, in cui le ragioni del cambiamento ed i principi di fondo venivano riconosciuti e condivisi; la struttura ed i contenuti della riforma hanno così preso forma, in un insieme abbastanza logico e coerente, ma senza alcun dubbio ancora migliorabile; tuttavia qualsiasi intervento di modifica e di miglioramento potrà avvenire solo in seguito alla prova dei fatti, dopo una prima sperimentazione, come anche la riforma prevede, e come accade per quasi tutte le leggi.
È il caso di ricordare che nella fase della progettazione della riforma non c'è stata opposizione in Parlamento; anzi il riferimento al mondo dell'impresa, sia nei principi che nella pratica, rispondeva ad esigenze condivise da molti.
Proprio il riferimento al mondo dell'impresa ha rappresentato un punto di forza della riforma, come correttivo alla progressiva separazione dell'Università dalla società e dalle sue esigenze, testimoniate tra l'altro dallo sviluppo esponenziale dei corsi di formazione professionale.
Come è avvenuto negli ultimi decenni nelle altre nazioni europee (e con il vantaggio di poter utilizzare le esperienze altrui) l'Università italiana ha ora l'occasione di confrontarsi con tali esigenze e con la mutata realtà sociale, cercando anche soluzioni originali e non scontate e non necessariamente limitandosi a mimare il "modello americano".
Concretamente, interrompere ora un processo avviato, bloccando l'attuazione della riforma, non è nell'interesse di nessuno, né degli studenti e dei docenti né tanto meno dell'istituzione.
In molti Atenei già nel corrente anno accademico è stato organizzato un anno di transizione in preparazione delle nuove lauree e gli studenti dovranno decidere nei prossimi giorni se passare ai nuovi ordinamenti. Altri Atenei sono in una fase meno avanzata, ma i tempi dell'attuazione della riforma, è il caso di ricordarlo, permettono di partire anche in tempi successivi, iniziando intanto con le lauree triennali e spostando l'inizio delle specialistiche al 2002-2003.
Tuttavia se il problema è solo di natura tecnica, non è escluso che si possa favorire l'inizio dei nuovi corsi di studio snellendone l'iter per l'approvazione.
Se invece la riforma venisse bloccata, qualcuno dovrebbe spiegarci in che modo fare fronte all'inevitabile caos. Ma ancor più bisognerebbe chiedersi chi ha interesse a farlo. Se si dovesse accertare che le resistenze arrivano dall'interno dell'Università, ciò significherebbe che la scelta individualistica ad affermare il proprio punto di vista (all'insegna del io avrei fatto ..) ha avuto la meglio sull'interesse generale e sulle decisioni collegiali delle Facoltà e degli Atenei.
Tornare indietro non ci restituirà la nostra vecchia , buona Università, che tra l'altro non esiste più da tempo; sarebbe invece una regressione verso l'immobilismo, con il rischio di una progressiva perdita di senso dell'Università, e delegando ad altri le proprie funzioni.
La resistenza al cambiamento è una sindrome diffusa e che non rispetta gli schieramenti politici, ma in questa fase dovrebbero prevalere la ragionevolezza e la lungimiranza.
Il nuovo governo da parte sua dovrebbe adoperarsi per completare il processo di riforma dell'Università mettendo tra l'altro mano a provvedimenti organici sullo stato giuridico dei docenti, e non facendo mancare il sostegno economico senza il quale qualsiasi riforma è destinata a fallire.
Luciano Arcuri Università degli Studi di Padova
Paola Binetti Campus Biomedico Roma
Donato Chiatante Università degli Studi del Molise
Gianfranco Denti Università degli Studi di Pisa
Amalia Ercoli Finzi Politecnico di Milano
Francesca Farabollini Università degli Studi di Siena
Muzio Gola Politecnico di Torino
Gianni Michelon Università degli Studi di Venezia
Dino Pedreschi Università degli Studi di Pisa
Giacomo Zanni Università degli Studi di Foggia